Un fenomeno musicale e sociale, un mistero da indagare
Capri in due giorni
Una piccola barca è sufficiente per godersi il golfo e l’isola
Quest’estate mi sono concessa due giorni di vacanza, dico due, a Capri. Visto che però, in due giorni, sono successe parecchie cose, non incredibili ma sufficientemente “partenopee” da rimanere per me memorabili, debbo partire a raccontare già dal mio arrivo alla stazione di Napoli. Arrivare in stazione a Napoli vuole dire arrivare in un luogo già significativo in sé e tutto da visitare.
Il vero caffè napoletano
Bastano pochi passi e ci si può addentrare, tra la confusione dei taxi e della gente, in quella che dovrà essere una modernissima piazza coperta che collegherà la stazione alla metropolitana – tra l’altro una bellissima metropolitana che una volta ho preso per andare in centro – superarla e arrivare al bar Mexico, proprio di fronte alla stazione. Lì il caffè va assolutamente preso, un vero napoletano ne beve almeno 5 al giorno, c’è chi arriva a 10 e 15. Ma seguitemi nel racconto: adesso siete di fronte alla macchina San Marco del vero caffe napoletano, non a bottone ma a stantuffo, che sbuffa come una locomotiva. Il barista, o meglio il macchinista, fa gesti veloci e sicuri sfiatando il vapore, alzando la temperatura dell’acqua, manovrando a mano l’emissione lenta e a pressione dell’acqua calda che si deposita sulla polvere di caffè tostato più sottile o più grosso a seconda del momento della giornata e della temperatura ed umidità dell’aria. La miscela Passalacqua, mi dice Massimo (detto Mago) – che è di Salerno, abita e opera a Bologna e fa l’avvocato e il clown – è quella amata dai napoletani veraci.
Adesso abbiamo davanti la tazzina di caffè che vi avranno chiesto se preferite calda o fredda, senza dirvi che quella calda scotta e può bruciarvi le labbra: se siete un vero napoletano prenderete col chucchiaino un pò di caffè e ne cospargerete il bordo per raffreddarla, ma questa è una cosa da fare davanti al barista solo dopo aver provato più volte a casa per conto vostro. Potete sorseggiare il vostro caffè ora senza dimenticare che prima si beve l’acqua che ti danno a parte e poi si beve il caffè, guai bere l’acqua dopo come si fa al nord!
In più il caffè va bevuto caldissimo e se si aspetta, per qualche distrazione inamissibile ma possibile, bisogna coprirlo con il piattino. Se aspetti troppo te lo rifanno d’ufficio. La distrazione è ammessa solo se, come nel mio caso, si è indecisi sul prendere la pastiera o il Babà.
Una volta fatto questo – e nel frattempo sono successe parecchie cose che vi hanno distratto – potrete riprendere il viaggio, ma a Napoli è difficile mantenere una precisa direzione o anche elaborare una idea perchè si è distratti da mille cose che succedono: il motorino che ti sfiora, l’uomo che ti dice qualche cosa, la cosa che succede e che richiede un tuo giudizio e partecipazione: per questo, dice Massimo il Mago, è difficile concludere qualche cosa. In ogni caso da lì si può girare l’angolo e trovarsi in un mercato tipo suk, con venditori “di tutto” e di diverse nazionalità: si può trovare dal bastoncino alla liquirizia o quello africano per pulire i denti a qualche borsa cinese o al kebab turco con qualcuno che magari può anche offrirvi un tiro di narghilè. Fatto questo, cosa che io ho sperimentato accompagnata da due amici straordinariamente informati (Franco, napoletano antiquario entusiasticamente capace di scovare situazioni Partenope e Massimo, non il mago ma un partenopeo a metà’: parte napoletano e parte modenese) abbiamo preso il taxi perché bisognava andare a prendere il traghetto. Traghetto che parte un pò a tutte le ore e, proprio per questo, visto che era ora di pranzo, abbiamo ascoltato il consiglio del taxista Raffaele, che ci ha proposto di passare in un ristorante-supermercato dove le eccellenze campane sono messe in bella mostra. Raffaele non solo ci accompagna ma ci consiglia anche cosa mangiare. Il posto è molto moderno ma i napoletani non si smentiscono mai, e riescono a creare ambiente caloroso anche in un luogo dall’aspetto freddo e modernista.
La pizza e il Calzone napoletano comunque la fanno da padrone assieme a tantissime altre specialità. Sotto al forno della pizza c’è scritto: la pizza non è di nessuno in particolare, è il prodotto della sapienza e della capacità del popolo partenopeo. Avuta questa lezione di vita Raffaele, che ci ha aspettato, ci accompagna al porto. Per prendere il traghetto per Capri.
Il traghetto per Capri
E qui parte la vacanza vera e propria: già prendere un traghetto bianco che si staglia sul mare e sul cielo azzurro, dà subito una sensazione di ferie e di vacanza. La navigazione è breve, però già ti dà la possibilità di leggere il giornale, di guardare il bellissimo Golfo che hai di fronte e di chiederti: “Cosa ci faccio io al Nord?!”. Si, cosa ci faccio io al Nord Italia, per il clima intendo, quando l’Italia è anche questo. Quando c’è questo mare “il mare che è la voce del mio cuore è la voce dell’amore che ci fa cantare: i miei baci a te i tuoi baci e a me ce il porta il mare.” Così cantava un cantante melodico che ricordo di aver visto in tv da piccola. Già: da piccola… Il mio primo viaggio a Capri proprio sul traghetto l’ho fatto da piccola, quando con il babbo e la mamma (io avrò avuto sei anni ma avevo però un bellissimo cappello di paglia da diva che mi copriva parte della faccia) venimmo a Napoli a trovare gli zii napoletani, lo zio Ubaldo e la zia Carlotta e i cugini Oscar, Walter e Paola. Ebbene sì: io ho dei cugini napoletani e quindi qualche cosa di napoletano, anche se indirettamente, visto che lo zio era bolognesissimo, c’è in me!
Forse è stato quel viaggio a Capri che mi ha dato questa napoletanità che sento dentro: a sei anni mi sono accorta benissimo che lì c’era uno spirito particolare nelle persone e forse quello spirito è proprio nell’aria, una specie di pazzia fra virgolette che mi coinvolgeva invece di spaventarmi, anche se avevo ricevuto un’educazione “nordica”. Da sotto il mio bellissimo cappello di paglia da diva, a sei anni, guardavo quello stesso paesaggio che sto guardando in questo momento e anche allora mi sentivo esattamente come mi sento ora: grata!
Adesso il traghetto sta per arrivare in porto a Capri, mi ricordo di essere venuta qualche anno fa a intervistare una campionessa di nuoto in mare aperto . Abita qui e faceva tranquillamente Capri/Sorrento e ritorno a nuoto. Una sirena. Noto però proprio nel porto una ciminiera che butta fumo nero: cosa sarà? mi chiedo. Qualcuno sta cuocendo del pesce e lo sta bruciando? Ma questa invece è un vero e proprio produzione di CO2 altamente inquinante. Mi spiegano che questa fabbrica serve per produrre l’ energia elettrica sull’isola. Da qualche tempo, però, grazie alle insistenze dei più accorti abitanti di Capri, è arrivato il cavo dell’Enel da Napoli. Mi chiedo a cosa serve ancora mai questa bruttissima biglietto da visita che crea inquinamento e anche grossi problemi di salute a chi abita proprio sopra alla ciminiera.
Prendiamo la funicolare, c’è molta gente, potremmo anche prendere un taxi, magari in collettivo con altri per spendere meno, oppure l’autobus. Si arriva a Capri di sopra dove c’è la famosa piazzetta che ancora ora è piena di gente, con la chiesa, il campanile e poi una serie di viuzze che portano alla Capri più nascosta, quella tra le vie senza traffico che si devono percorrere tutte a piedi, una specie di giusta punizione per chi ha il privilegio e l’avventura di fare le vacanze in questa bellissima isola. Il posto dove dobbiamo andare però non è facile da trovare, si deve camminare molto, arrampicarsi per le stradine in salita, ma la bellezza del luogo è tale che certo non si può definire una sofferenza, forse un esercizio, forse uno scotto inevitabile se si vuole conquistare il paradiso.
Benvenuti in paradiso
In paradiso ci stava anche l’imperatore di Roma Tiberio che nella sua villa Jovis, qui a Capri, governò l’impero per oltre 11 anni. Mica scemo, e poi senza neppure internet! Appena sotto la villa di Tiberio c’è un’altra villa che per architettura non le è da meno: è la casa dei nostri ospiti, Stefano e Maria. Anche qui non ci sono parole per descrivere la gentilezza, per descrivere i pranzi e le cene che abbiamo fatto prendendo, come d’abitudine per le persone che hanno l’orto accanto alla casa qui a Capri, i pomodori. i fichi, i fiori di zucca, i peperoni appena colti vicino a casa. Abitudini agricole accanto a una fasto imperiale. Imperiale perché in questa residenza singolare – che è anche un Bed e breakfast di pochissime camere – c’è persino un teatro.
Da qui poi, grazie agli amici di Stefano, si può andare a fare un bagno ai Faraglioni, ammirando e nel contempo criticando i grandi yacht esagerati, che sfoggiano ogni tipo di gadget per il “divertimento” marino: moto d’acqua, complicati mulini la cui funzione mi sfugge e scivoli gonfiabili. Peccato che spesso a bordo sembra esserci solo l’equipaggio o un povero bambino viziato costretto a godersi tutti questi giocattoli da solo.
Basta una barchetta
Noi italiani, e soprattutto i capresi, sappiamo che la vera vacanza è fatta di cose più semplici, basta una barchina per non dovere fare parecchi chilometri a piedi con un su e giù che può anche distruggere le ginocchia di chi ha i menischi deboli. Con una barca, magari un gozzo come nel nostro caso, si possono andare a vedere le grotte e fare il giro dell’isola. Con una barca abbastanza piccola si può anche passare sotto l’arco dei faraglioni ed è un momento veramente meraviglioso. E poi ammirare la villa di Curzio Malaparte costruita su un costone dell’isola, villa che si dice che Malaparte avesse regalato ai cinesi ma questa sua volontà credo non sia stata adempiuta. Si può vedere la scalinata fatta costruire da Krupp, quello delle acciaierie che pagò la guerra a Hitler. Da certi scorci si possono vedere però anche le case dove vissero per un po’ Lienin, Andy Warhol, Joseph Boys.
Già perché Capri non è stata solo meta della dolcevita: a Capri sono venuti veramente tutti, anche Totò e Fantozzi. Quello che però ho capito di Capri e che qui è rimasto sempre uno zoccolo duro di abitanti storici, i cui genitori o avi avevano terra e vivevano di agricoltura. Dalle foto dei primi fotografi inglesi o tedeschi che immortalavano i bei capresi come Dei dell’olimpo o nei dipinti di Alma Tadema si capisce come questo posto sia poi stato colonizzato da artisti, da ricchi e da divi ma mi sembra che le persone che veramente gestiscono l’isola, siano ancora gli isolani originari di Capri Negli anni 70 poi ci furono tanti intellettuali che passavano di qui, magari più propensi a sottoporsi alla sofferenza di marce forzate verso il mare e di tuffi dagli scogli.
Il secondo giorno Franco decide che bisogna andare ad Anacapri e, prendendo l’autobus, il cui sport preferito è quello di fare il pelo all’altro autobus che arriva dalla parte opposta e di avvicinarsi pericolosamente alla estremo limite della strada che dà sul precipizio. E che ha però il privilegio di offrirti una visione unica del panorama. E a quel punto i turisti sull’autobus urlano come se fossero in giostra. Franco in autobus si mette anche a cantare una canzone napoletana, e alla fine tutti applaudono. Si scende e Massimo propone di andare sul Monte Solaro con la seggiovia. Così mi trovo improvvisamente su un seggiolino che sale vertiginosamente verso l’alto, donandomi una visione aerea è un volo strepitoso su tutta l’isola! Da là sopra una visione incredibile con – a fare da quinta – una statua di Tiberio. Mi dicono essere vera ma mi permetto di dubitare che sia una copia di quella ritrovata qui ma che ora si trova al Louvre, che guarda verso i Faraglioni.
Basta finito, questa è stata la mia vacanza di due giorni a Capri. Vi auguro di passarci più tempo e lo stessa vorrei fare io d’ora in avanti ma anche due giorni bastano, meglio che niente!
Syusy Blady