Chi ha paura dei fantasmi?
I Sassi di Matera
Matera è stata la Capitale Europea della Cultura nel 2019
Nello stemma di Matera c’è raffigurato un bue con una spiga in bocca. Io a Matera ci sono andato poco tempo fa per partecipare ad una manifestazione dedicata appunto all’allevamento, una delle tradizioni più sentite della Basilicata: Alleva Expo Sud, organizzato da Augusto e dagli altri dell’Associazione regionale allevatori che hanno – letteralmente – portato in piazza, col benestare del sindaco e vincendo qualche resistenza dei cittadini, vacche podoliche, pecore, asini, capre, cavalli e maiali. E assieme a loro c’era una vasta gamma di prodotti tipici provenienti anche da Campania, Puglia, Molise e Calabria, con relative dimostrazioni di antichi ma preziosi e rari mestieri, come ad esempio il fabbro che ancora fa i campanacci per le mandrie o il maniscalco. E’ stata una festa collettiva e anche una performance significativa, di carattere squisitamente e modernamente culturale.
In Basilicata l’allevamento ha determinato e determina ancora innanzitutto il Paesaggio, ma anche l’economia e le relazioni socio-economiche (come si dice). Io personalmente, durante questa manifestazione, ho appunto incontrato un sacco di bella gente e forse ho capito meglio la Basilicata. Infatti Matera è stata nominata Capitale Europea della Cultura 2019, ma le radici della cultura lucana sono decisamente agricole: è sulla base della sua cultura contadina che Matera è quello che è adesso. I Sassi di cui ci parla Paola erano case di contadini e stalle per il bestiame. Se volete saperne di più andatevi a leggere (o rileggere) il libro “Cristo di è fermato a Eboli” di Carlo Levi, o andate a vedere i suoi quadri. Levi era un medico, artista e intellettuale antifascista, che è stato mandato in Lucania al confino nel 1935, e ha descritto in modo appassionato la civiltà contadina locale, raccontando la miseria dei braccianti. Nel 1979, dal libro, è uscito anche il film di Pontecorvo e Rosi, con Volontè.
Dalla vergogna all’orgoglio: i Sassi
Nel 1948 è scoppiato la scandalo dei Sassi di Matera, in cui la gente viveva in condizioni insostenibili, sollevato da Togliatti e poi da De Gasteri: lo slogan era “Matera vergogna d’Italia”. Nel 1952 una legge ha deciso che i 15.000 abitanti dei Sassi andavano evacuati e collocati in quartieri nuovi. Per fortuna, almeno in quegli anni, i migliori architetti si prodigarono per costruire nuove case che in qualche modo rispettassero lo stile di vita dei materani-contadini, per cui Matera è bella anche nei suoi quartieri periferici, almeno quelli costruiti negli anni ’50 (gli anni 70-80 non hanno avuto pietà, né a Matera né altrove). E i Sassi sono stati abbandonati fino al 1986, quando un’altra legge ha deciso il loro recupero, che in un certo senso non è ancora del tutto concluso. Poi nel 1993 è arrivato il riconoscimento dell’UNESCO, Matera è diventata Patrimonio dell’Umanità.
E, grazie alla bellezza del paesaggio, al coraggio dei suoi abitanti e al recupero della sua identità (urbanistica e culturale), Matera è diventata oggi appunto simbolo di un Sud che non si arrende. In effetti, a ben guardare la sua storia, tutto questo non è una novità: nel 1514 i Materani fecero una rivoluzione e ammazzarono il dispotico Conte Tramontano. E durante la seconda guerra mondiale Matera fu la prima città del Sud a ribellarsi ai tedeschi, che il 21 settembre del 1943 fecero strage di 15 ostaggi innocenti: in mezzo alle case nuove c’è un cippo che ricorda il luogo in cui i nazisti fecero saltare un edificio dove erano rinchiusi, e non a caso lo stadio della città mi pare che si chiami “Ventun settembre”. E questo spirito è quello che si coglie di Matera oggi che la città sta vivendo un momento magico, in funzione della nomina a Capitale Europera della Cultura, con un fermento palpabile. Questo è quello che viene fuori parlando con la gente, passeggiando per Piazza Vittorio Veneto o visitando i tanti monumenti a cui fa cenno Paola nel suo itinerario, dal Palombaro a Sant’Agostino, ma anche solo entrando in un negozio o visitando un’azienda agricola.
Il treno
Matera oggi appunto corre come un treno, dimostra di non aver perso il treno dello sviluppo, eppure… il treno non ce lo ha mai avuto! Se ci arrivi dalla costa tirrenica il treno da Napoli si ferma a Ferrandina, che dista 37 chilometri e 200 metri da Matera. Se arrivi dall’Adriatica e da Bari c’è un trenino a scartamento ridotto, pittoresco ma scomodo, sospeso la domenica. Restano le corriere. Quindi, ancora una volta, ha ragione Paola che nel suo incipit si lamenta che arrivare a Matera oggi è ancora un lungo viaggio. Se Carlo Levi tornasse al mondo scriverebbe certo “Un povero Cristo si deve fermare a Ferrandina”.
Da un certo punto di vista bisogna ammettere che l’isolamento di Matera e il fatto che non sia mai stato un posto ricco l’ha preservata da un turismo di massa e dalle attenzioni della malavita organizzata che imperversa nelle regioni limitrofe, facendone il paradiso che è ora, ma il prezzo da pagare è stato alto. E c’è voluta molta passione e molto orgoglio identitario per risalire la china. Ma adesso viene il bello: ora i Sassi sono recuperati, ma cosa diventeranno? Solo alberghi e negozietti per turisti? Diventerà un borgo magnifico ma finto, come ce ne sono tanti purtroppo in Italia? Luca e Nicola mi dicono che per fortuna almeno 5.000 materani son tornati ad abitare nei Sassi.
A proposito di ospitalità, a Matera mi faccio due amici: Nicola (fotografo-architetto) e Luca (imprenditore, e adesso anche assessore), che mi portano a casa di Mario, un signore che adesso si definisce pensionato, ma che ha fatto parte di una generazione che ha curato, restaurato e mantenuto le tradizioni e l’dentità urbanistica della città. Se ho capito bene è stato fra gli amministratori che a suo tempo hanno dettato le regole del recupero dei Sassi. La sua casa-torre (Torresassi), che domina la valle della Gravina su cui sorge la città, è un esempio di recupero filologico: tutto è stato ripristinato secondo il profilo e le dimensioni storiche e sono stati usati i materiali locali, che danno ai Sassi il loro colore splendido e tradizionale: il tufo locale, che poi è calcarenite (sabbia pressata dai secoli e dagli strati geologici).
Patrizio Roversi
Immagine di Flickr user Francesca Cappa
Immagine di Flickr user Gianluca Canello
Immagine di Flickr user diegofornero (destino2003)