L'isola più sud-est d'Italia
Sicilia in barca: Isola di Levanzo
Syusy e Patrizio raccontano la più piccola fra le isole Egadi
Levanzo è la più piccola delle Egadi, che spunta all’orizzonte con il modesto profilo del suo Pizzo Monaco (meno di 300 metri) ed è grande circa 5 chilometri quadrati. Il porticciolo, delizioso, è in proporzione. Per cui ancoriamo fuori e arriviamo col canotto, giusto il tempo di trasbordare sulla barca di legno di Natale, che ci porta a vedere quella che io-Syusy ritengo essere una delle maggiori attrazioni storiche e artistiche del Mediterraneo, la famosa “Grotta del Genovese”.
Navighiamo fino al versante ovest-nord-ovest dell’Isola, dove c’è una baia che serviva spesso appunto da riparo alla flotta della Repubblica Marinara di Genova (da cui il nome). Attracchiamo ad uno scoglio e saliamo lungo un sentiero molto ripido (tutte le cose belle bisogna conquistarsele). E siamo all’imboccatura della grotta.
Natale è l’attuale “padrone di casa”, nel senso che la Grotta (comunque protetta dalle Belle Arti) è sul suo terreno. E’ stata una turista nel 1949 a scoprirla, per caso (potremmo quindi ribattezzarla “La grotta della Turista per Caso”!). Davanti c’è un anticamera, una sorta di anti-grotta aperta, in cui pare che gli antichi abitassero. Poi si accede, in fondo, tramite uno spiraglio tra la roccia che adesso è chiuso da un cancello, alla grotta vera e propria, che è divisa in due parti che scandiscono due epoche ben distanti, che a loro volta raccontano la storia geologica dell’Isola e del Mediterraneo in senso lato.
La grotta è divisa in due parti e ciascuna rappresenta un pezzo della storia geologica dell’isola e del Mar Mediterraneo stesso. All’inizio ci sono delle pitture rupestri, datate attorno a circa 7.000 anni a.C., che rappresentano scene di caccia e di allevamento, figure femminili (che assomigliano all’iconografia delle Dee Madri) e maschili (simili a quelle che abbiamo visto in altre parti del mondo, a partire dalla Patagonia). Sono appunto pitture, fatte a carboncino e fissate con grasso animale. Poi, più avanti, proseguendo verso il fondo della grotta, ci sono invece dei graffiti, che rappresentano buoi, cervi e cavalli. I graffiti sono più antichi delle pitture, potrebbero risalire anche al 12.000 a.C., e sono più realistici, si può dire più raffinati rispetto alle pitture stesse, che pure sono più recenti. Cosa è successo?
E’ successo che la grotta era abitata fin dal Paleolitico, da popolazioni evolute per l’epoca, quando il terreno dell’Isola era ancora collegato alla terraferma (che adesso dista circa una dozzina di chilometri in linea d’aria). Poi ci sono state glaciazioni e de-glaciazioni, il mare ha circondato Levanzo e l’uomo si è ritirato verso la terraferma, al seguito degli animali. E, passati circa 3-4.000 anni, nel Neolitico, l’uomo è poi tornato su quella che era diventata un’isola, però in una situazione molto più precaria, quindi in un certo senso regredita.
Comunque tutte le volte che, in Acacus in Libia o in Patagonia o in altri luoghi che mi è capitato di visitare, vedo i graffiti, mi chiedo chi mai fosse quel Michelangelo della preistoria che sapeva graffiare le pareti facendo capolavori con mano così ferma e sicura. Mi chiedo chi fosse perchè mi viene da pensare ad un artista vagabondo, sempre lo stesso, che se ne andava in giro scolpendo grotte, su commissione, forse.
Perchè sembra incredibile che siano stati artigiani improvvisati! Lo so che fa ridere ma il dubbio viene: spesso i soggetti sono gli stessi e la mano… la mano sembra sempre quella!!
La Grotta del Genovese lo conferma: sembra proprio che più si va indietro nel tempo più i cosiddetti uomini preistorici avessero un gusto squisito. Comunque tutto questo (la qualità dei graffiti e il loro valore artistico/simbolico/linguistico) conferma la mia tesi: io-Syusy sono più che mai convinta che dobbiamo rivedere le nostre convinzioni sull’uomo che noi ci ostiniamo a definire “primitivo”, che primitivo non era affatto. Bisogna – in questo senso – riscrivere i sussidiari!
Syusy & Patrizio